Il Molise è caratterizzato da una rete idrografica che ha inciso notevolmente sull’insediamento, sulla viabilità e sulle attività economiche, ed è stata causa di numerosi problemi. I corsi d’acqua, compresi i principali fiumi e i laghi naturali, hanno un regime prevalentemente torrentizio, gonfi d’acqua in inverno e quasi asciutti in estate.

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Le rovinose piene, sono, salvo rare eccezioni, un ricordo del passato, essendo stati realizzati, dalla seconda metà del secolo scorso, prelievi direttamente alle sorgenti per alimentare acquedotti ed invasi artificiali con funzioni, questi ultimi, di contenimento delle acque e di distribuzione delle stesse. Il territorio molisano è interessato da cinque bacini interregionali e da un solo bacino regionale, quello del Biferno, unico fiume interamente molisano. Le sorgenti più importanti, per portata, che alimentano gli acquedotti regionali, e quelli delle regioni limitrofe, si trovano per lo più a quota compresa fra i 300 e i 600 metri e ciò ha determinato, per l’approvvigionamento idrico dei comuni molisani, situati a quote superiori, problemi e costi elevati. Negli anni settanta, per soddisfare la crescente domanda di acqua, la CASMEZ progettò la realizzazione di ben 14 invasi artificiali, le cui acque erano destinate, prevalentemente, alle regioni limitrofe ( sono stati realizzati ed in via di ultimazione solo cinque, avendo, il Consiglio regionale del Molise, con delibera n. 98 del 23/02/2000, sospesa la realizzazione di quelli non ancora costruiti ). Gli acquedotti storici Gli acquedotti storici ( fonte : Atlante Tematico delle Acque d’Italia ) Furono i Romani i grandi costruttori di acquedotti dell’antichità : prima di loro, nei territori degli Italici, i Sanniti non sembra abbiano realizzato impianti idraulici particolarmente complessi. Il più famoso acquedotto, costruito dai Romani in Molise, è quello che portava acqua alla città di Venafrum, captandola dalle sorgenti del Volturno : la sua notorietà deriva sia dal buono stato di conservazione di molte sue parti, tanto che se ne può facilmente ricostruire e seguire l’intero percorso, sia dal fatto che conserviamo anche il testo dell’editto che ne stabiliva le norme di costruzione e di gestione. Le norme di natura giuridica, necessarie tanto alla costruzione dell’opera quanto alla distribuzione dell’acqua, erano riportate nell’editto che abbiamo ricordato, una copia del quale si conserva nel Museo archeologico di Venafro; la costruzione dell’opera, che si pone tra il 17 e l’11 a.C. va messa in relazione con la deduzione a Venafro di una colonia militare augustea e quindi facilmente riconducibile all’interessamento dello stesso Augusto. L’acquedotto venafrano ha un tracciato di circa 30 Km e si sviluppa alla base delle colline che affiancano la sponda destra del Fiume Volturno. La condotta è quasi interamente sotterranea, salvo nei punti in cui doveva attraversare valloni o corsi d’acqua, dove si era ricorso a ponti o analoghe strutture, una parte con unica arcata è ancora visibile a valle di Montaquila (IS). Ricognizioni effettuate in passato, hanno documentato la presenza di pozzi per l’ispezione e lo sfiato dell’acquedotto. L’acquedotto isernino, molto più breve, doveva essere simile per la tecnica costruttiva, aveva origine a pochi chilometri dalla città, a Capo d’Acqua, ai piedi dei monti di Miranda. Lungo pochi chilometri, era sotterrato per gran parte del percorso. Anche qui si riconoscono numerosi pozzi di ispezione ed areazione; si concludeva all’esterno della città, al termine dell’attuale corso Garibaldi, in un castellum aquae, un grande serbatoio di smistamento che doveva servire l’intera città.


08/04/2019

C.Varriano

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