Vincenzo Ucciferri e la visione tragica della vita

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Percorro i vicoli del centro storico di Isernia tra il profumo dei fiori e di sapone di marsiglia;il bucato colorato decora le corde attaccate agli storici balconcini. Più avanti la bottega di un calzolaio, persone che si soffermano a chiacchierare per strada, poi il bar sulla piazzetta: un uomo non alto, dalla scura barba un po’ lunga e i capelli raccolti sulla nuca da un elastico è seduto a un tavolino. Tra le dita brilla rossa una sigaretta davanti a un bicchiere mezzo pieno, tra le mani un bastone da passeggio. Lo osservo, mi domando chi sia. Mi colpisce lo sguardo intenso e profondo di quell’uomo dall’apparenza un po’ sopra le righe. “è Cenzino” -mi dicono al bar- “fa il pittore!” È così che l’ho conosciuto, Vincenzo Ucciferri, passeggiando nella bassa Isernia per i vicoli del centro storico. E poi mi avvicino, come un gatto in esplorazione, alla maestria della sua opera e ne conosco l’essenza. Mi interesso alla vita, spinta dalla curiosità per un maestro del colore: “è nato a Isernia”- mi dicono-“nel ’53. L’arte è da sempre la sua passione. Ha frequentato l’Istituto d’Arte ad Isernia e poi l’Accademia di Belle Arti prima a Firenze e poi a Napoli, dove ha conseguito il diploma. All’inizio come studio di pittura utilizzava il vecchio scantinato di famiglia dove al profumo di acqua ragia e di colori a olio e acrilici, si mescolavano gli odori di aglio, cipolla, salame fatto in casa e sui muri si confondevano tra i suoi quadri fitte ragnatele”. È qui che “Cenzino” dava vita ai volti e ai trepidanti e palpitanti paesaggi dai colori vivaci. Ucciferri ha spesso cambiato “bottega” durante il suo percorso e così nel 1976 cambia studio: va in una stradina di Corso Marcelli; il suo laboratorio è composto da due piccoli vani ai quali si accede da una scaletta invecchiata dal tempo. Dal suo pennello sporco di colore si materializzano sul bianco della tela immagini della vita di strada: volti di uomini atterriti e marchiati dai segni di una vita di eccessi, prostitute che fumano assorbite dal silenzio e l’euforia della notte. Nei suoi quadri, i suoi tormenti interiori - la donna, il sesso, il fascino della morte, la vita, la sua esistenza personale- risaltano come in un diagramma fotografico. Negli anni Novanta un nuovo trasferimento, questa volta in un appartamento non ancora rinnovato che sarà il suo studio. Adesso “Cenzino” sperimenta una pittura più trascendente, onirica ma realistica, astrusa, popart, impressionista. Tutti questi stili tra loro contrastanti convergono sulle tele che il maestro ha dipinto in questo periodo: individui ingabbiati in contenitori di vetro, maschere bianche sospese nel vuoto, indifferenti al tempo e allo spazio, una testa di maiale troneggia adagiata su una poltroncina o sul capitello di una colonna in stile ionico, i contrastanti cromatismi sono intensi e rabbiosi… Ma il suo vagabondaggio non è ancora terminato e lo ritroveremo in una stanza a pianterreno in un edificio del centro storico dove saremo rapiti e seguiti dagli sguardi delle facce di chi ha lasciato un indelebile segno impresso nella sua vita tra i vicoli; facce, ognuna con i propri segni, incancellabili e riecheggianti nella memoria che diviene una galleria di trepidazioni… Infine un ultimo passo, in una caldissima soffitta. Qui ha dipinto i suoi ultimi quadri, prima che una morte prematura lo portasse via dal suo piccolo pezzo di mondo nella primavera del 2007. Quella di Vincenzo Ucciferri è la storia di un artista geniale ma anche quella di un uomo introverso, di poche parole che sapeva tradurre in arte il suo mondo interiore… Passo in rassegna i suoi dipinti ed è come avventurarmi in un viaggio immaginario che percorre il subconscio dell’artista, tra il mondo reale e quello sognato, immaginato. Mi sembra di viaggiare a ritroso nel tempo, mescolando al presente frammenti di passato, alla ricerca di un tempo perduto. Ciò che il maestro ha dipinto è quello che la sua anima ha chiesto di tradurre in pittura ed egli usava la tela come specchio interiore: così il segno del pennello era sempre più scorrevole e progrediva sulle tracce inquiete della vita. In tutte le opere di Ucciferri si sente la forte presenza della sua visione tragica della vita, del suo rapporto personale con la realtà. “…questa è la mia sincera unica possibile autentica testimonianza della mia pena di uomo alienato da un assurdamente ostile ostilmente assurda realtà. Tutto per me è muto, tranne la tela che a tratti interloquisce meco e conforta la mia in comunicante solitudine. Riuscirò con queste forme informali astratteggianti a significare ad altri i graffi prodotti dal tempo e dalla natura sul mio spirito? E interesserà ad altri che non sia me il messaggio emesso dalla mia privata privatissima emittente sepolta negli anfratti del mio più oscuro essere?” Questa breve citazione, dell’artista stesso, contiene forse tutto il senso della sua opera. Partito da una pittura che dava spazio a paesaggi i cui orizzonti erano spesso troncati dal filo spinato, simbolo di sofferenza, o da altri elementi che distoglievano l’osservatore dal lasciarsi andare alle larghe vedute di una vita armoniosa e positiva, giunge nelle opere più tarde, ad una sorta di riconciliazione con questa realtà che mai gli era stata congeniale. Egli stesso compare più volte nei suoi dipinti, talvolta rendendosi interprete di un personaggio, come nelle due versioni del quadro “Salomè”del 1997 in cui la sua testa rappresenta quella di Giovanni Battista, altre volte ponendosi al centro di una tela bendato, come nel dipinto “Racconto” dello stesso anno, rappresentando semplicemente se stesso. Forse gli autoritratti non sono altro che un bisogno di autocelebrazione, un’esigenza di autocompiacimento inteso come rivincita nei confronti della vita. A raccontarci di presenze mitiche è il prato che simboleggia il profondo desiderio di tornare al grembo materno, identificato, in questo caso con la Madre Terra, e poi c’è il simbolo della morte, avvertita come visione mostruosa ma al tempo stesso attraente, qui interpretata da quell’ammasso di nembi plumbei raccolti nel cielo che rendono buio il dipinto. Quindi un viaggio artistico e biografico quello di Ucciferri, pieno di riflessioni ed introspezioni che spesso conducono ad una lettura poliedrica delle sue tele. L’importanza della sua arte sta nella continua ricerca di un qualcosa che gli consentisse di raggiungere un appiglio per ripararsi da questa realtà avversa : allora ecco che nelle tele appaiono emozioni ritrovate, volti di persone che hanno lasciato un segno marcato nella sua vita. Forse è riuscito, alla fine del suo percorso, a trovare quell’ormeggio che gli permettesse di respirare meno affannosamente? Forse la sua anima è finalmente giunta al ristoro? Forse, semplicemente, ha concluso che questa realtà doveva essere accettata. Preso da: http://lapoesianellarte.blogspot.com/2010/12/vincenzo-ucciferri-e-la-visione-tragica.html articolo di giovedì 2 dicembre 2010 Scritto da :


17/07/2018

Claudio Varriano

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