Come ogni buon isernino sa, Isernia ha nel suo sottosuolo un acquedotto antichissimo che – come scrisse Ciarlanti – «maraviglia porge à chiunque lo rimira»

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L’antico acquedotto di Isernia Come ogni buon isernino sa, Isernia ha nel suo sottosuolo un acquedotto antichissimo che – come scrisse Ciarlanti – «maraviglia porge à chiunque lo rimira» [1]; opera «che à pena si può co’ l’animo concepire, e con le parole non à pieno spiegare» [2]. La difficile accessibilità del sito, la grandezza dell’opera, i labirintici cunicoli che la compongono, la sua posizione nel mondo del buio, hanno creato un po’ di mistero intorno all’acquedotto. Qualche volta si è favoleggiato che fosse una seconda città, un universo a sé stante, una Isernia sotterranea che nei secoli ha dovuto competere con le acque, un luogo ancora da esplorare e comprendere compiutamente, una Isernia sommersa, una Isernia-Atlantide. La datazione di questo «monumento nascosto» non è mai stata chiara. Per Galanti, infatti, «s’ignora quando sia stato fatto» [3]. Qualcuno vuole che sia d’epoca sannita; ipotizzandone anche un parziale uso militare. Masciotta lo ritiene «opera dell’età romana» [4], senza per altro specificare se del periodo imperiale o pre-imperiale. Non ebbe dubbi di datazione Raffaello de Rensis che, nel 1910, affermò che l’acquedotto è «d’epoca Traiana» [5]. La cosa è plausibile, infatti, Marco Ulpio Traiano, divenuto imperatore nel 98 d.C., promosse il restauro e la costruzione di numerose opere pubbliche. Al di là della individuazione precisa del secolo di costruzione, è certo che l’acquedotto è antichissimo. Nel Seicento, il già citato Ciarlanti dà una breve descrizione di questo straordinario monumento underground. La Natura — egli scrive — ha dotato Isernia di «tanti vaghi ruscelli di limpide acque» [6] che nutrivano la campagna. Ma poiché la città, invece, non poteva goderne gli «antichi Cittadini fecero un sotterraneo meato con tanta fatica […]. Forarono dentro le viscere della terra per ispatio più d’un miglio durissimi, e vivi sassi, e vi formarono un acquedotto […] che sufficientemente sodisfa dentro alle pubbliche, e private fontane, e fuori intorno le mura a i giardini, molini, cartere, & all’arti a cui l’acqua è di bisogno» [7]. In epoca preunitaria (1858), fu Stefano Jadopi a descrivere l’acquedotto:«È meraviglioso il vedere come Isernia, situata sopra una collina, sia stata dai suoi primi abitatori provveduta di acque in abbondanza, recandovele mediante un acquedotto […] tagliato nella collina stessa tra duri sassi, alla profondità, in alcuni luoghi, di palmi 95, ed ha di altezza palmi otto, di larghezza palmi 4. Vi sono sei spiragli, onde rendere agevole il ripulirlo e il ristaurarlo in ogni caso. Questo antico acquidotto parte dal ponte S. Leonardo, e va fino al così detto Pozzo. In questo punto se ne devia un ramo che corre all’interno della città, ed anima sette fontane pubbliche e circa 45 private: l’altro ramo, nel quale scorre maggior volume di acque, serve ad animare varie macchine idrauliche» [8]. Nel 1890, è Siro Corti che, in un opuscolo geografico-storico, scrive di Isernia e annota la presenza di «un acquedotto di considerevole profondità e larghezza, aperto nella viva roccia con meravigliosa industria per la lunghezza di quasi due chilometri» [9]. Pochi anni dopo, nel 1899, è Gustavo Strafforello che ne parla: «è un antico acquedotto che provvede sempre d’acqua la città. Esso è scavato entro dure roccie: ha la lunghezza di 1797 metri, è alto m. 2,112 e largo m. 1,056. Sei spiracoli corrono dal principio al fondo» [10]. Si evitano qui altre citazioni, anche perché non potrebbero trovare posto. Va, però, aggiunto che l’acquedotto fu sempre tenuto in grandissima considerazione, in ogni epoca. Il 14 settembre 1514, con Diploma di Giovanna III, a varie nobili famiglie fu concesso di usare gratuitamente quell’acqua per le loro case, a discapito degli altri cittadini. Solo nel Settecento si decise di farla pagare. Nel 1816 si fece finalmente strada l’idea di un’equa ripartizione fra tutti i cittadini [11], ricchi e poveri. Ma questo progetto, per molto tempo ancora, rimase solo un proposito. Mauro Gioielli NOTE: 1 Ciarlanti Gio. Vincenzo, Memorie historiche del Sannio, per Camillo Cavallo, Napoli 1634, libro primo, p. 35 (quest’’opera riporta un falso luogo di stampa, ossia Isernia; ma in realtà è stata stampata a Napoli). 2 Ciarlanti Gio. Vincenzo, op. cit., p. 36. 3 Galanti Giuseppe Maria, Descrizione dello stato antico ed attuale del Contado di Molise, presso la Società Letteraria e Tipografica, Napoli 1781, p. 61. 4 Masciotta Giambattista, Il Molise dalle origini ai nostri giorni, vol. 3°, Il circondario di Isernia, Tipolitografia Lampo, Campobasso 1984, p. 234 [ristampa dell’ed. Arti Grafiche ditta E. Di Mauro, Cava de’ Tirreni 1952]. 5 De Rensis Raffaello, La provincia di Campobasso inesplorata. Antichità, leggende e monumenti, in «Roma. Rassegna illustrata dell’esposizione del 1911», fasc. VIII, Tipografia Nazionale, Roma 15 nov. 1910, p. 17. 6 Ciarlanti Gio. Vincenzo, op. cit., p. 35. 7 Ibidem, pp. 35-36. 8 Jadopi Stefano, Isernia, in Il Regno delle due Sicilie descritto ed illustrato da Filippo Cirelli, vol. XIV, fasc. 1, Molise, Stabilimento Tipografico di Tiberio Pansini, Napoli s.d. [1858], p. 63 [ristampa anastatica, in «L’Arcolaio», n. 6, luglio 1998, p. 107]. 9 Corti Siro, Le Provincie d’Italia sotto l’aspetto geografico e storico, n. 40, Regione Abruzzi e Molise. Provincia di Campobasso illustrata da carta geografica ed incisioni, G.B. Paravia & C., Torino 1890, p. 31. 10 Strafforello Gustavo, La patria. Geografia dell’Italia, vol. IV, parte seconda, Italia Meridionale, Abruzzi e Molise. II. Circondario d’Isernia, 279a disp., Unione Tipografico-Editrice, Torino s.d. [1899], p. 332. 11 Jadopi Stefano, op. cit., p. 63 [107]. Articolo pubblicato da Mauro Gioielli sulla rivista «POLIS» (periodico mensile della vita amministrativa, economica e culturale del Comune di Isernia), anno II, n. 6, novembre 2001, pp. 14-15.


31/07/2018

Mauro Gioielli

19998

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