L’anno passato, in occasione di una passeggiata a Colletorto, ho avuto la possibilità di entrare nel convento detto di S. Alfonso, che versa in uno stato penoso. Al suo interno, nonostante il disastro, sopravvive il ciclo di pitture del 1737 di Pietro Brunetti, pittore di Oratino.

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Tra le cose rappresentate una particolare attenzione merita la tavola imbandita di Simone il Fariseo, l’ebreo ricco divenuto famoso per l’episodio di Maria Maddalena che lava i piedi di Cristo. Sul tavolo fa bella mostra di sé un caciocavallo e una mezza pezza di pecorino. blog molisetour.it Credo che si tratti della più antica rappresentazione del formaggio molisano per eccellenza. O comunque è una delle più antiche. L’immagine mi ha fatto riflettere sul significato del termine “caciocavallo” perché viene spontaneo spiegare che esso derivi dalla circostanza che la sua stagionatura si faccia mettendo a cavallo di un asse di legno due forme di pasta filata allungata tenute da una fettuccia di rafia che stringe con due cappi scorsoi la loro testa. Qualcuno, invece, sostiene che il termine derivi dal modo di lavorare dei casari che si mettono a cavallo di uno scanno per modellarlo. Altri ancora che era costume trasportarli mettendoli a coppia sulla groppa dei cavalli o dei muli. blog molisetour.it Probabilmente nessuna di queste spiegazioni è giusta. Sappiamo solo che in epoca borbonica minacciare di fare la fine del caciocavallo, significava paventare un’impiccagione. In Medio-Oriente è diffuso il termine “kashkaval” per indicare genericamente il formaggio. In Turchia si usa un modo che in italiano assomiglia a “qasqawal”. Ne venni a conoscenza una ventina di anni fa in Macedonia, a Skopje, area di forte influenza turca, dove formaggi abbastanza simili alle nostre scamorze appassite vengono chiamati appunto “kashkaval”. Lo stesso in Bulgaria da dove provenivano i diecimila migranti longobardi che si stanziarono sul Matese nel VII secolo al comando di Alzecone. blog molisetour.it D’altra parte, se pensiamo che il nostro termine consueto “purtualle” (arancia) ha come corrispettivo “portokalia” in Turkia, è plausibile immaginare che le contaminazioni linguistiche medioevali abbiano lasciato traccia anche nel nostro linguaggio e che “caciocavallo”, mutuato da un originario “kashkaval”, significhi semplicemente “formaggio”. Foto e articolo preso online


10/10/2019

Franco Valente

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